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ANTISEMITISMO
Posizione ideologica, su basi razziali, ostile
agli ebrei. Fino all'ultimo trentennio del XIX secolo sarebbe però
più corretto usare il termine "antigiudaismo". L'antigiudaismo
percorse la storia dell'umanità fin dall'epoca precristiana e ha
coinvolto anche l'islamismo e altre culture in cui non vi è alcuna
presenza di ebrei. Esso riflette, quindi, un pregiudizio fortemente radicato
nei confronti di un'entità culturale e religiosa, quale l'ebraismo,
che non accetta l'integrazione entro le varie realtà in cui, a
partire dalla diaspora, gli ebrei si sono
venuti a trovare. Anche se si riscontrano elementi di antisemitismo nel
mondo greco e romano, la sua diffusione fu dovuta essenzialmente al cristianesimo.
ANTISEMITISMO TEOLOGICO. La Chiesa cristiana, sulla base di alcune
enunciazioni nei Vangeli, lanciò due gravi accuse nei confronti
degli ebrei: quella di deicidio, cioè di aver ucciso Dio
nella persona di Gesù, e quella di essere associati con il demonio.
Tali accuse erano inestinguibili e rappresentavano una condanna inesorabile,
che giustificava le discriminazioni cui la Chiesa e, in seguito, gli stati
cristiani sottoposero gli ebrei. A partire da sant'Agostino, l'antisemitismo
trovò ulteriore giustificazione nella tesi del "popolo testimone":
gli ebrei erano costretti a rimanere in una posizione di umiliazione e
di discriminazione perché, nel disegno divino, era stato loro affidato
il compito di rendere testimonianza della verità del cristianesimo.
Nello stesso tempo, gli ebrei che vivevano nelle regioni musulmane godettero
in generale di condizioni di vita migliori, anche se non mancarono persecuzioni
nei loro confronti; questa relativa mitezza di trattamento è spiegabile
in base al fatto che gli ebrei avevano con gli arabi affinità linguistico-razziali.
Le prime grandi persecuzioni di massa nel mondo cristiano coincisero con
la proclamazione, da parte del papa Urbano II, della prima crociata (1096);
i massacri perpetrati un po' in tutta Europa testimoniano di quanto le
dottrine antigiudaiche della Chiesa avessero attecchito nella mentalità
popolare. Nello stesso tempo emerse all'interno delle comunità
ebraiche un atteggiamento di autodifesa imperniato sulla chiusura in se
stessi, sul rifiuto dell'assimilazione, sulla diffidenza e sull'odio impotente:
la cosiddetta mentalità "da ghetto". L'intensificazione dei traffici,
favorita proprio dalle crociate, determinò lo sviluppo di attività
di intermediazione finanziaria da parte degli ebrei, che per reazione
suscitò una forma collaterale di antisemitismo: quello economico.
Si addossò agli ebrei la colpa di praticare il prestito a usura
e, in situazioni di crisi, si videro in loro i capri espiatori per le
tensioni sociali.
ANTISEMITISMO ECONOMICO E POLITICO. L'antisemitismo economico confluì
nel solco di quello teologico. La Riforma accentuò la discriminazione
degli ebrei, la cui reclusione nei ghetti era vista, per esempio dai gesuiti,
come ottimo strumento di propaganda per la religione cattolica. Nel campo
protestante, la situazione degli ebrei non mutò granché
rispetto al periodo precedente. Lutero attaccò con molta durezza
gli ebrei, che non avevano accettato di convertirsi; le sue invettive
lasciarono il segno nella cultura protestante tedesca. Nel Settecento,
"secolo dei lumi", le nuove correnti culturali aprirono da un lato il
discorso sull'emancipazione degli ebrei; dall'altro, esponenti di rilievo
dell'illuminismo, come Voltaire, gettarono le basi di un'antropologia
razziale che prefigurava la discriminazione degli ebrei in quanto razza
inferiore. Nella seconda metà dell'Ottocento lo sviluppo di una
teoria delle razze, sulla scia dello scientismo, introdusse profondi mutamenti
nella giustificazione dell'antisemitismo. Gli ebrei venivano considerati
una razza inferiore rispetto alla razza ariana in quanto incapaci di produrre
una civiltà duratura. L'antisemitismo su base razziale non implicava
necessariamente una discriminazione, anche se molti teorici affermavano
esplicitamente che gli ebrei erano pericolosi per le altre razze. Anche
nel campo socialista si ebbe la diffusione di atteggiamenti antisemiti:
Karl Marx equiparava gli ebrei alla borghesia capitalistica. L'estensione
dei pregiudizi antisemiti al campo della politica si verificò in
Europa occidentale versola fine dell'Ottocento, in conseguenza delle prime
gravi crisi economiche che scossero la fiducia in uno sviluppo illimitato.
Emerse allora l'utilizzazione strumentale dell'antisemitismo come sfogo
per le tensioni sociali. In Germania e in Austria nacquero i primi partiti
che avevano un programma apertamente antisemita, mentre in Francia attorno
all'affaire Dreyfus si coagularono le paure di coloro che non accettavano
le istituzioni repubblicane. Nell'Europa orientale, fino agli inizi del
XX secolo prevalse l'antigiudaismo di tipo cristiano-medievale. Nei territori
dell'impero zarista esso si concretizzava soprattutto negli eccidi detti
pogrom. Per reazione il settore più dinamico della gioventù
ebraica russopolacca venne spinto da un lato verso il movimento rivoluzionario,
dall'altro alla scelta di tornare sempre più numerosi a risiedere
nella Palestina, scelta che precorse il sionismo. La rivoluzione d'ottobre
del 1917 aprì nuove prospettive di emancipazione per gli ebrei
russi; tuttavia, nei decenni seguenti il governo sovietico, soprattutto
per volontà di Stalin, adoperò più volte lo stereotipo
dell'antisemitismo per giustificare purghe e repressioni di massa nei
confronti degli intellettuali. La crisi di valori successiva alla prima
guerra mondiale favorì la diffusione delle teorie antisemite, come
testimonia fra l'altro il grande successo internazionale dei Protocolli
dei Savi di Sion. Si trattava di un abile falso, forgiato dalla polizia
segreta zarista, che descriveva i presunti piani di dominio mondiale degli
ebrei. Nonostante la sua falsità sia stata provata persino in sede
giudiziaria, questo libello ha continuato fino ad oggi ad alimentare il
pregiudizio nei confronti dello strapotere delle comunità ebraiche
a livello internazionale. Fatto proprio da Hitler e dal nazismo, l'antisemitismo
sfociò nello sterminio pianificato degli ebrei in tutti i territori
europei occupati dai tedeschi fra il 1939 e il 1944 (soluzione finale).
Sotto l'impressione dello sterminio nazionalsocialista, dopo il 1945 l'antisemitismo
passò progressivamente in secondo piano nella cultura europea,
anche se soprattutto la questione dei rapporti fra lo stato d'Israele
e i suoi vicini arabi contribuì a mantenerlo vivo. La stessa Chiesa
cattolica, nel Concilio Vaticano II, prese le distanze dal tradizionale
antisemitismo religioso, anche se le sue successive mosse in tal senso
restarono caute, frenate da antiche, reciproche diffidenze teologiche.
F. Conti

L. Poliakov, Storia dell'antisemitismo, La Nuova Italia, Firenze
1974-1990; G.L. Mosse, Il razzismo in Europa dalle origini all'olocausto,
Laterza, Roma-Bari 1980. |
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